Ricordo bene un giorno in cui il professore di filosofia, discutendo di attualità, si soffermò a riflettere su chi in quel periodo faceva campagna elettorale promettendo la riduzione delle tasse (o meglio delle imposte). "Non metteremo le mani in tasca agli italiani" tuonavano gli slogan di allora. A pochi giorni dall'approvazione della manovra finanziaria, ho risentito alcune di quelle frasi nelle interviste riportate dai giornali. E se da allora chi pronuncia questi slogan è sempre lo stesso gruppo di persone, vuol dire che, in fondo, agli italiani proprio non va giù l'idea di pagare le tasse. Ma torniamo al caro professore. La sua opinione al riguardo sembrò agli alunni tutti, compreso lo scriba, leggermente strampalata, come quelle belle idee che sembrano essere uscite dalla mente di un folle a cui poi la storia ha dato, nelle giuste proporzioni, ragione. In sostanza il professore sosteneva che ogni cittadino, in qualità di organo costituente della società, dovrebbe essere felice e onorato di pagare le tasse. Molte persone avrebbero riso in faccia ad un personaggio del genere, ma lo scriba conosceva già l'alto profilo morale del suo interlocutore e accolse quell'affermazione come una provocazione. Eppure dopo alcuni anni di riflessione, sono giunto a capire che in fondo non era una affermazione provocatoria. Il professore mi aveva sbattuto in faccia quanto di più alto l'uomo fosse riuscito a costruire (almeno nel mondo delle idee). Oggi ci vantiamo di essere il primo mondo, di essere più evoluti. Abbiamo conquistato la democrazia e la amiamo a tal punto da ritenerla un bene da "regalare a qualsiasi costo". Eppure, in fondo le modalità governative possono essere tante: democrazia presidenziale, democrazia parlamentare, monarchia, dittatura. Sono tutte modalità in cui la maggioranza della popolazione impone una metodologia decisionale, compresa la dittatura. Se possiamo dirci più evoluti (e vedrete che in effetti non lo siamo affatto) è perchè, prima di parlare di democrazia, l'occidente si è dotato di un'idea fondamentale: la società. Fare parte di una società civile non vuol dire stare dentro ad un confine geografico o parlare la stessa lingua o mangiare la stessa pietanza di alcuni altri milioni di persone. Significa mettere insieme i propri sforzi per costruire un organo in cui tutte le individualità possano emergere in maniera coerente e costruttiva; in cui il bene comune, la cosa pubblica, sono la base su cui costruire le proprie aspettative di vita. Non sono parole astratte. Quando un cittadino paga una imposta altro non fa che mettere a disposizione parte del proprio sudore quotidiano al servizio della società, al servizio di tutti. Ci si potrebbe chiedere dove sta la grandezza di questo tipo di organizzazione. In una società, la collettività si impegna a garantire il benessere ad ogni suo componente. In uno schema di questo tipo, ogni forma di individualismo perde di senso. Il mio amico platonico D.F. Wallace direbbe che nessuno è nella catena alimentare dell'altro. Ecco perchè il mio prof. era così felice di pagare le tasse. Aveva in mente un'idea di società completamente diversa. Era riuscito a trasporre su un piano etico sociale quanto Cristo aveva affermato per la sfera individuale. E' riuscito a elevare, in un certo senso, il messaggio di Cristo.
Un altro giorno il professore entrò in aula e disse che se fra cinquanta o sessanta anni ci fossimo dimenticati di tutta la filosofia studiata, avremmo dovuto ricordare la celebre frase di Sant'Agostino: "Noli foras ire, inte ipsum redi, in interiore homine habitat veritas." Ebbene, spero stasera di dimenticare la frase di Sant'Agostino e di ricordarmi fra cinquant'anni della sua provocazione.
3 commenti:
La Cristianità de Il Padano
http://www.ilpadano.com/padano_test.php?newsID=2351
http://www.ilpadano.com/padano.php?newsID=2346
La cristianità de Il Padano consiste nel difendere il simbolo
http://www.ilpadano.com/padano_test.php?newsID=2348
Poi sti cazzi di cosa significa il simbolo. Al massimo riusciranno a ricollegarlo alla maglia bianca dell'Inter.
«Mi pare che troppe volte viene utilizzato Dio, quando si dice per esempio “l’identità cristiana”, ”le radici cristiane” nei confronti dell’altro che viene – dice Luigi di Piazza – Dio viene utilizzato tante volte per coprire progetti che sono di potere umano, questo non vuol dire nascondere le questioni problematiche, vuol dire assumerle con una sensibilità che una fede in Dio dovrebbe comunicare a tutti noi».
All’incontro con la stampa nel Centro Balducci di Zugliano (Ud) ha partecipato anche Don Andres (José Andrés Tamayo Cortez), sacerdote dell’Honduras, costretto dal regime a lasciare il suo paese.
«Una situazione, quella che sta vivendo lo stato del centro America, di cui i grandi del mondo non parlano – ha ricordato Don Andres – Eppure dopo l’ascesa al potere di Micheletti, gli omicidi politici di chi tenta di opporsi al regime sono nell’ordine del giorno».
Lettera di Natale dei ’preti di frontiera’ del Friuli Venezia Giulia
Il dio in cui non crediamo
Non crediamo in un Dio lontano, giudice freddo delle debolezze umane, indifferente ai drammi e alle speranze della storia.
Non crediamo in un Dio che giustifica l’esaltazione della proprietà privata, del capitalismo, dell’accumulo del denaro e dei beni.
Non crediamo in un Dio che suggerisce, alimenta e conferma l’inimicizia fra persone e popoli; che quindi legittima la costruzione e la vendita delle armi, le guerre, le ronde, il reato di immigrazione irregolare, i vigili urbani armati, il potere salvifico delle telecamere.
Non crediamo in un Dio onnipotente quando con questo concetto si vuole intendere il più potente dei potenti di questo mondo; che si trova alla sommità delle gerarchie e dell’autoritarismo, che esige onori e privilegi e così conferma autoritarismi, onori e privilegi, da parte delle autorità della società, della politica, delle diverse religioni, della Chiesa.
Non crediamo in un Dio che umilia, che castiga, che alimenta i ricatti e i sensi di colpa delle persone.
Non crediamo in un Dio che si incontra solo o di preferenza nelle Chiese, nelle verità dogmatiche, nei simboli religiosi.
Non crediamo nel Dio delle grandi occasioni religiose, come il Natale, quando sono concepite come ingrediente del materialismo, del consumismo, della superficialità, di una religione che non coinvolge nella storia.
Non crediamo in un Dio bianco, occidentale, friulano – giuliano, neppure “cristiano” quando la sua presenza è pretesa per fondare e legittimare le discriminazioni; la xenofobia, il razzismo; per alimentare paure e sospetti; chiusure etniche, localistiche, identitarie; il culto di quella tradizione che trasforma la libertà evangelica in ossequio al conformismo.
La lettera è stata firmata da Pierluigi di Piazza, Franco Saccavini, Mario Vatta, Alberto De Nadai, Andrea Bellavite, Giacomo Tolot, Piergiorgio Rigolo, Luigi Fontanot e Albino Bizzotto. Definititi in passato “i preti di frontiera” per alcune posizioni critiche con quelle ufficiali della Chiesa.
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