lunedì 3 settembre 2007

La coscienza

Nessuno può dire veramente di essere l’artefice dei suoi pensieri o delle sue azioni...almeno così sembra.
Giorni fa su Repubblica ho letto un articolo di Odifreddi sul libero arbitrio, e qui potete trovarne una sintesi (sulla pagina in alto c'è la foto di Maurizio Costanzo...fate finta di non vederla :) e, se vi va, leggete l'articolo).
Per i più pigri faccio io qui un’ulteriore sintesi.
Per secoli in filosofia si è dibattuto di questioni inerenti il libero arbitrio. Ora, se ne occupa una nuova branca della Sofia (il marinaio non sarà troppo d'accordo se dico che pure questa è filosofia:) ; io ribadisco che per me lo è...alla fine è solo una questione di definizioni su cui basta mettersi d'accordo) che si chiama neurofisiologia.
Ora un esponente di questa disciplina, Libet, ha pubblicato un libro sui suoi ultimi 50 anni di ricerca e pare che abbia scoperto cose interessanti. Una di queste è che nella vita di tutti i giorni il rapporto tra attività consce e inconsce è di 1:100.000.000.000. Azz!
Ma non basta...tutti sappiamo che quando tocchiamo un ferro rovente, la nostra mano si ritrae prima che ce ne rendiamo conto, perchè se dovessimo aspettare di diventare coscienti della situazione di pericolo finiremmo bruciati.
Tutto questo riguarda la percezione passiva, cioè il percepire i dati dall’esterno.
Il fatto notevole è che Libet ha scoperto una cosa simile riguardante la volizione attiva: quando vogliamo fare qualcosa il cervello se ne rende conto solo 100 ms dopo che qualcosa dentro di noi ha già deciso. Nell’articolo c’è l’esempio del movimento del dito: il dito si muove ma noi ci rendiamo conto di aver deciso di muoverlo dopo una manciata di millisecondi. Il libero arbitrio sembrerebbe spacciato però, almeno parzialmente, viene salvato.
Infatti Libet dice anche che se è vero che non compiamo le nostre scelte in modo conscio, è pur vero che quel lasso di tempo che intercorre tra la decisione del qualcosa e la nostra percezione cosciente dell’atto, è sufficiente per impedire al nostro dito di muoversi: la coscienza sarebbe cioè una sorta di controllore degli atti che qualcosa dentro di noi ci fa compiere.
Detto questo, Odifreddi si lancia in una metafora: quando l’uomo andò sulla Luna, il viaggio della navicella fu quasi tutto automatico. Quasi perché alla fine, si rese necessario un piccolo cambiamento di rotta, effettuato da Armstrong, per evitare un ostacolo imprevisto. Secondo Odifreddi, la coscienza non è che questo piccolo cambio di rotta, che sarà necessario fino a quando non avremo perfezionato del tutto il nostro pilota automatico, come già fanno altre specie animali che noi chiamiamo inferiori.
Questi studi potrebbero essere rivoluzionari e vale la pena pensarci un po’…
Ma ora vorrei dire ancora che se ad Odifreddi sta bene che si vada verso questa sorta di pilota automatico, a me non piacerebbe troppo.
[….continua….]

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